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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Storia ed Università: equipe pisana risolve il giallo della morte di Cangrande della Scala

L'autopsia sulla mummia del mecenate di Dante Alighieri ha confermato le fonti storiche che parlavano di avvelenamento. Gli esami sul corpo di 700 anni fa sono stati condotti dall'equipe di paleopatologia del prof. Gino Fornaciari dell'Università di Pisa

Il condottiero ghibellino mecenate di Dante Alighieri, deceduto improvvisamente a Treviso nel 1329, è stato avvelenato. A scoprirlo la squadra di ricerca di paleopatologia del professor Gino Fornaciari dell’Università di Pisa. Il Cangrande della Scala signore di Verona voleva sottomettere tutto il Veneto, ma dopo la conquista della città trevigiana morì per una grave malattia, così sospetta che fu accusato e giustiziato il suo medico per averlo avvelenato. Le cronache dell'epoca trovano così conferma, a 700 anni di distanza.

"Le analisi hanno rivelato – spiega Fornaciari – che Cangrande fu intossicato dalla somministrazione orale di un infuso o di un decotto a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale (Digitalis sp. forse purpurea). Questa era conosciuta nel Medioevo solo come pianta velenosa, in quanto le sue proprietà terapeutiche furono scoperte solo nel XVIII secolo, e risulta difficile stabilire se l’avvelenamento di Cangrande fu causato dall’ingestione accidentale di foglie di digitale, scambiate erroneamente per qualche altra pianta edibile, o se l’avvelenamento fu intenzionale". A volere la morte del personaggio c'erano non solo i regnanti degli stati confinati, ma anche il nipote Massimo, che divenne poi il signore di Verona dopo di lui.

Cangrande della Scala, l'analisi della mummia conferma la morte per avvelenamento

La tomba di Cangrande fu aperta nel febbraio 2004, allo scopo di effettuare lo studio paleopatologico del corpo. La mummia apparve in ottimo stato di conservazione. Il corpo mummificato è stato sottoposto a radiografia digitale e a TAC, a esame autoptico e ad analisi palinologiche e tossicologiche, in un approccio multidisciplinare. La tomografia computerizzata effettuata all’Ospedale di Verona ha dimostrato che nel lume esofageo era presente un composto denso, riferibile a materiale alimentare rigurgitato immediatamente prima del decesso. La presenza della digitale è stata poi confermata dall’esame tossicologico effettuato dall’équipe diretta dal professor Franco Tagliaro dell'Università di Verona, che ne ha trovato i principi attivi, la digossina e la digitossina, sia nei campioni di feci e che in quelli di fegato, in concentrazioni tossiche. Il caso di Cangrande rappresenta finora l’unica evidenza diretta di avvelenamento attraverso l’uso di sostanze organiche.

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