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Cronaca

Terrorismo, studente turco espulso: "Ho spedito messaggi solo per farmi arrestare"

Il 25enne dottorando alla Normale di Pisa, espulso dall'Italia a fine dicembre, ha rilasciato una intervista via mail alla redazione di Lettera 43, spiegando i motivi che lo hanno portato a inviare minacce e sottolineando di non aver alcun contatto con i gruppi jihadisti

Otto mail scambiate la sera del 20 gennaio, cioè dopo che la sua espulsione dall'Italia e la sua identità erano state rivelate, con la redazione del Quotidiano Online Indipendente 'Lettera 43', che ha provato a contattare Furkah Semih Dundar, lo studente turco espulso a fine dicembre per messaggi minatori contro l'occidente, tramite il suo profilo sul sito della Scuola Normale Superiore, alla quale il ragazzo era iscritto per frequentare un dottorato di ricerca in Fisica. E' stato così ricavato l'indirizzo di posta elettronica e, per dare conferma circa la vera identità, ha pubblicato in tempo reale sul suo sito una parte della corrispondenza avuta con Lettera43.it e ha inviato una sua foto inedita.

Nel corso dell'intervista via mail, in inglese, lo studente turco ha affermato di aver mandato messaggi provocatori per "essere arrestato e porre fine a questa situazione". Una situazione che Furkah spiega nelle mail successive. Non si sentiva protetto nel suo paese, in Turchia. "La ragione profonda per la quale non volevo tornare in Turchia - e non sono in Turchia al momento - è che sono stato seguito, penso, dal Mit (il servizio segreto turco). Non mi sento sicuro in Turchia. Ho un carattere inusuale e tutto succede a causa di ciò...I fisici a volte sono inusuali. Sono felice che tutto ciò è finito. Forse è stato un modo estremo di uscirne, ma ha funzionato". Dundar dice poi di "non essere più musulmano da 8 o 9 anni" e di aver mandato messaggi di minaccia jihadista "perché era il tema caldo del momento" e poteva meglio servire al suo scopo. Ma nega di essere in contatto con o parte di gruppi jihadisti: "No, sono solo in contatto con la scienza, la letteratura e la filosofia. Se fossi realmente coinvolto in certe relazioni, non sarei stato espulso ma messo in prigione per non so quanti anni. L'unica cosa illegale che ho fatto è stata scrivere falsi messaggi per porre fine alla situazione in cui ero". "In realtà ho scritto - dice ancora - altri tipi di messaggio, anche di gruppi di sinistra turchi come il Dhkp-c (il fronte rivoluzionario per la liberazione del popolo che ha rivendicato l'attentato avvenuto a Istanbul il 6 gennaio, ndr) ma l'argomento sensibile al momento era l'altro".

"È finita. Sono contento. La ragione iniziale, come ho detto, fu che c'era una guardia di polizia del primo ministro (o una spia del Mit) nel mio appartamento (ad Ankara, ndr) cosa che ho appreso solo alla mia partenza da Ankara - prosegue nell'intervista a Lettera 43 - potrebbe essere iniziato tutto come un normale controllo. Ma, come ho spiegato prima, le cose non sono cambiate, loro non hanno 'capito'. Si è trasformata in una questione personale per loro".
E anche in Italia si sentiva seguito. "Dato che ero seguito per le strade e ovunque - afferma - e l'ho notato dal primo giorno del mio arrivo - come se fossi il loro nemico, in uno dei messaggi che ho mandato alla Cia ho scritto qualcosa come: “Forse voi avete pensato che io stessi per farmi esplodere di fronte all'ambasciata Usa? Pensate che non abbia niente da fare in questo mondo e penso a voi giorno e notte?”. Tutto quello che voglio è una mente serena per studiare senza essere trattato come un nemico senza ragione. In realtà all'inizio io volevo l'aiuto della Cia, pensando che loro avrebbero forse potuto risolvere la faccenda. Successivamente ho iniziato a scrivere messaggi provocatori a vari posti per essere arrestato e quindi mettere fine a questa situazione. Sono contento che sia finita".
Alla domanda sul perché avesse deciso di inviare messaggi minacciosi per farsi arrestare, invece di chiamare la Polizia o lasciare il Paese di sua spontanea volontà, Dundar risponde così: "Naturalmente ci ho pensato. Ma pensavo che se fossi andato a parlare con loro all'inizio avrebbero potuto etichettarmi come schizofrenico e sarebbe stato quello che volevano per non darmi il permesso di soggiorno. Desideravo risolvere la situazione in modo soft. I miei primi messaggi erano sempre del tipo: “Se pensate che io sia un pericolo, allora per favore arrestatemi”. Pensavo che continuando i miei studi la situazione si sarebbe risolta".

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