rotate-mobile
Cronaca

Il gioco non è una cosa da bambini: studi linguistici sulla radice indoeuropea del termine rimandano soprattutto alle aree semantiche del “movimento” e del “travestimento”

Andrea Nuti, ricercatore dell’Ateneo pisano si occupa da anni del tema, il suo ultimo contributo è un saggio nel volume “Il gioco e i giochi nel mondo antico”

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PisaToday

Giocare non è solamente una cosa da bambini, almeno secondo la linguistica. La sorpresa viene da un recente studio sulla radice indoeuropea del termine che lo ricollega soprattutto all’area semantica del “movimento” e del “travestimento”. Sono queste le conclusioni a cui è giunto Andrea Nuti, ricercatore di Glottologia e Linguistica del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, che da molti anni si occupa del tema e che ha scritto come ultimo contributo in materia il saggio “Sui termini indicanti ‘gioco’ e ‘giocare’ nelle lingue indoeuropee. Una panoramica” pubblicato nel volume “Il gioco e i giochi nel mondo antico” (Edipuglia Bari, 2013).

“La prospettiva linguistica – spiega Andrea Nuti - è fondamentale per capire come l’esperienza umana organizza, culturalmente e cognitivamente, il fenomeno del gioco e come le diverse culture lo vedono e lo vivono con il variare del tempo”.

Proprio per questa complessità sociale e culturale del gioco, la ricerca non ha rivelato un’unica radice del termine, ma una molteplicità di forme che si ricollegano alla sfera semantica del “movimento”, della “mimesis”, cioè del travestimento e della finzione, con l’unica eccezione del greco dove c’è un rimando esplicito alla sfera infantile. Nelle altre lingue analizzate come il germanico, il baltico, il slavo, il celtico e l’indiano antico il richiamo più diretto è al movimento (l’ing. play, ad esempio, da ricondurre all’anglosassone plegan ‘move radipidly, dance’; o il ted. Spiel, dall’antico alto tedesco spilōn ‘spielen/ giocare, sich bewegen / muoversi, hüpfen / saltare). Nel latino invece prevale la mimesis (così è per ludus che, oltre al ‘gioco’, indica anche l’atto di ‘esercitarsi’ e la riproduzione mimetica insita nell’apprendimento, ed è probabilmente connesso col gotico lita ‘fizione, recita, inganno’).

“Nel caso del gioco, le cose sono sfuggenti e complicate – sottolinea ancora Andrea Nuti – e infatti il riferimento a un’attività tanto intellettuale quanto fisica, che può implicare tanto un alto grado di astrazione quanto una miriade di sfaccettature, impone di avvicinarsi con cautela a procedimenti di riduzione semantica. Non si può dare per scontato, insomma, che l’obiettivo debba necessariamente essere la ricostruzione di un solo nome (o verbo) indoeuropeo”

“Tutto lascia credere – conclude quindi il ricercatore dell’Ateneo pisano - che, al di là di poche costanti semantiche e cognitive (come la mimesis e il movimento), vi dovessero essere molti nomi del gioco: riflesso del carattere quantomai polimorfico, anche culturalmente, del fenomeno ludico. E probabilmente, come indica la proliferazione delle forme attestate, tali nomi dovevano essere oggetto di un rinnovamento continuo. Il che rende la ricerca molto difficile, ma anche appassionante”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Il gioco non è una cosa da bambini: studi linguistici sulla radice indoeuropea del termine rimandano soprattutto alle aree semantiche del “movimento” e del “travestimento”

PisaToday è in caricamento