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Cronaca San Piero a Grado

San Piero e gli orti etici: l'agricoltura sociale fattura 40mila euro

Da alcuni anni persone con vari disagi, grazie a un progetto tra Università di Pisa e aziende locali, coltivano e rivendono i prodotti agricoli delle campagne pisane

Mangiare verdura fa bene alla salute. Ma a volte anche coltivare dei prodotti agricoli ha degli effetti positivi. A San Piero a Grado da qualche anno è attivo “Orti etici”, un progetto sperimentale di agricoltura sociale, nato dalla collaborazione dell’Università di Pisa con l’azienda agricola biologica Biocolombini e con la cooperativa sociale Ponteverde. Nei tre ettari che l’Università ha messo a disposizione lavorano 5 o 6 persone, seguite da un tutor della cooperativa Ponteverde. Si producono porri, bietole, finocchi, pomodori, fragole, cavoli e insalate per un valore di 40.000 euro l’anno.

I prodotti vengono distribuiti tramite la rete dei gruppi di acquisto solidale, gruppi di consumatori che sostengono l’agricoltura biologica locale sperimentando forme di economia alternativa. Le persone che vi lavorano sono selezionate dai servizi sociali (il Sert, il Servizio per le tossicodipendenze, il dipartimento di Salute mentale, gli UEPE, Uffici per l’esecuzione penale esterna) e seguono percorsi che durano 6 mesi.

Il progetto è del tutto autofinanziato: nei suoi tre anni di vita ha offerto formazione a più di 30 persone, di cui 3 hanno trovato lavoro, e prodotto 400 quintali di ortaggi per i membri dei gruppi di acquisto. Il tutoraggio della cooperativa sociale e le spese necessarie alla coltivazione sono a carico dell’azienda Biocolombini, a cui va il ricavato della vendita. L’Università dal canto suo può offrire attività formative qualificate ai suoi studenti e ha la possibilità di fare ricerca nel campo dell’agricoltura multifunzionale. “Orti etici” ha avuto una menzione speciale al concorso nazionale "Esempi: Esperienze di sviluppo eccellenti per metodi e prassi innovative”, promosso dal Ministero delle Politiche agricole.

"Cosa vuol dire agricoltura sociale? Si può dire che in una certa misura è un concetto che abbiamo introdotto noi con il progetto Social Farming, finanziato dal VI Programma Quadro dell’Unione Europea - afferma il professor Francesco Di Iacovo - il termine descrive quelle pratiche agricole che offrono servizi civili per la collettività, ad esempio sostenendo il recupero socio-riabilitativo e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e con bassa capacità contrattuale dovuta a disabilità mentale e fisica, detenzione, tossicodipendenza”.

“Lavorare in un’azienda agricola è particolarmente efficace per chi si confronta con diverse forme di disagio  - continua Di Iacovo - il rapporto con le piante e con gli animali all'interno di processi produttivi veri, permette a persone in difficoltà di operare e mettersi alla prova senza esporsi al giudizio diretto degli altri e di progredire nella percezione della propria autostima, del proprio valore. D’altra parte lavorare all’aperto, a contatto con la natura, offre particolari opportunità. Come ha detto una volta un responsabile della Cooperativa Agricola il Forteto: la  campagna è un posto dove si può urlare il proprio disagio e nessuno ti dice niente”.
 

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