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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Aoup: nella giornata mondiale contro la sepsi anche Pisa scende in campo

La sepsi è diventata una vera emergenza per tutti gli ospedali. Per combatterla uso corretto degli antibiotici, diagnosi tempestiva e rispetto delle misure igienico sanitarie

Oggi di sepsi si muore più che di infarto e di tumore al colon. I dati allarmanti dicono infatti che questa patologia - una sindrome clinica che deriva da una risposta anomala e generalizzata dell’organismo a un’infezione e che determina un danno a carico di uno o più organi, mettendo in serio pericolo la vita - uccide 4 volte di più del carcinoma del colon, 5 volte di più dell’ictus e 10 volte di più dell’infarto miocardico. La sua mortalità nei casi più gravi può raggiungere il 70% e la sua incidenza è in continuo aumento. In Europa si contano più di 700.000 casi di sepsi all’anno di cui 1 su 5 ha esito fatale e, spesso, chi sopravvive riporta conseguenze organiche per tutto il resto della vita. Ci sono quindi tutti gli estremi per definirla, ad oggi, una vera e propria emergenza medica contro la quale nessun ospedale, per quanto dotato delle più avanzate risorse umane e tecnologiche, può nulla se ai necessari presidi terapeutici non si accompagnano anche altri accorgimenti adottati a monte, come ad esempio il rispetto delle norme igieniche basilari da parte del personale sanitario. Può sembrare banale ma anche il fatto di avvicinarsi al paziente dopo essersi sempre rigorosamente lavati le mani può risultare fondamentale, in un’ottica di prevenzione.

Naturalmente un ospedale di grandi dimensioni e ad alta vocazione chirurgica, con interventi ad elevata complessità come l’Aoup, registra un numero più elevato di casi proprio a causa della tipologia di attività assistenziale svolta. Quanto maggiore è il numero di pazienti 'critici' (politraumi o esiti di complessi interventi chirurgici), che necessitano quindi di cure intensive nei reparti di anestesia e rianimazione, tanto maggiore è il rischio di contrarre infezioni per l’utilizzo di cateteri o il ricorso a procedure invasive come la tracheotomia e la ventilazione meccanica.

Oltre a questi pazienti 'chirurgici' fragili, può contrarre la sepsi anche chi è affetto da una notevole compromissione delle difese immunitarie o i soggetti deboli, come gli anziani e i bambini, mentre un 10% degli accessi totali al Pronto soccorso arriva già con un quadro di setticemia conclamato. Per tutti la strategia d’attacco è la terapia antibiotica, somministrata però in ambienti adeguati proprio perché la sindrome colpisce più organi, spesso vitali, e richiede quindi trattamenti che solo le terapie intensive possono garantire.

Il problema è che, in molti casi, si tratta di batteri resistenti agli antibiotici – uno dei più temibili è la Klebsiella pneumoniae, alcuni ceppi della quale risultano resistenti sia ai carbapenemi sia alla colistina - e quindi l’unico baluardo, per i clinici, sta nell’associazione e combinazione di più farmaci, a supporto delle procedure intensive, per cercare di debellare i germi patogeni. Ma resta un’elevata mortalità, che si potrebbe arginare solo con una massiccia campagna di educazione, condotta a tutti i livelli, contro l’uso indiscriminato e ‘fai da te’ di antibiotici, il cui unico risultato è di sviluppare resistenze per i casi in cui il farmaco dovrebbe servire da salvavita, come nella sepsi. Altro elemento decisivo per una prognosi favorevole è la tempestività nella diagnosi. Quanto più essa è tardiva, tanto minori sono le probabilità di guarigione. E’ infatti ampiamente dimostrato che il tempestivo riconoscimento, associato a una gestione terapeutica adeguata nel tempo e nei metodi, permette una prognosi più favorevole. Neanche la rianimazione più sofisticata e all’avanguardia, infatti, può salvare più vite di quelle che si possono salvare al primo sospetto clinico di sepsi (in pronto soccorso o in area di degenza) Il fatto è che le sue caratteristiche cliniche sono subdole e, in fase precoce, è difficilmente diagnosticabile. Se a questo si sommano le resistenze antibiotiche o un’osservanza non sempre puntuale delle norme igieniche in ospedale, il quadro diventa preoccupante.

Ecco perché serve una vera alleanza fra operatori sanitari e pazienti, oltreché una presa di coscienza collettiva dell’importanza del problema per le istituzioni sanitarie perché, mettendo in campo tutte le risorse, la battaglia può essere vinta.

A questo vuole dare risposta la campagna di salute mondiale lanciata nel 2013 dalla Gsa-Global sepsis alliance, un’organizzazione mondiale alla quale hanno aderito oltre 3.500 istituti di cura nel mondo (www.world-sepsis-day.org) finalizzata a promuovere la conoscenza della sepsi fra gli operatori sanitari e la popolazione. Uno strumento è il 'Sepsis day', giornata mondiale della sepsi  promossa il 13 settembre, cui aderiscono moltissimi ospedali italiani fra cui l’Aoup.

Questa mattina all'ospedale Cisanello si è svolta una conferenza stampa cui hanno preso parte: Paolo Malacarne, direttore Unità operativa di Anestesia e rianimazione di Pronto soccorso; Gianni Biancofiore, direttore Unità operativa di Anestesia e rianimazione trapianti;  Francesco Forfori, Unità operativa di Anestesia e rianimazione interdipartimentale; Francesco Menichetti, direttore Unità operativa di Malattie infettive; Piero Buccianti, direttore Unità operativa di Chirurgia generale; Fabio Monzani, direttore Sezione dipartimentale di Geriatria; Mauro Giraldi, direttore medico di presidio; Fabrizio Gemmi, direttore sanitario Aoup.

Partner del 'Sepsis day' è la Siarti-Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, che favorirà appunto questa iniziativa di sensibilizzazione nazionale con eventi, conferenze stampa, punti informativi allestiti in tutti gli ospedali che aderiscono. Lo scopo è sistematizzare il percorso diagnostico-terapeutico nei tempi e nei modi corretti in ogni ospedale; educare ad un buon utilizzo degli antibiotici per ridurne le resistenze; favorire tutte le buone pratiche per la prevenzione delle infezioni. I baluardi infatti ci sono ancora, basta saperli usare con il contributo di tutti, ciascuno per la propria parte. Nel corso della giornata quindi operatori sanitari, medici, infermieri, volontari, sensibilizzeranno l’opinione pubblica sul fenomeno, chiedendo un aiuto per poter diffondere in maniera capillare e senza allarmismi la conoscenza di questa sindrome e le buone pratiche per ridurre l’incidenza delle infezioni.

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