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2 settembre 1944: celebrato stamattina il 67° anniversario della liberazione

Il discorso del sindaco Marco Filippeschi per ricordare un evento così importante per la città. "Ci sono intrecci tra la storia recente e l'attualità" ha detto il primo cittadino

Ricordato questa mattina il 67° anniversario della liberazione di Pisa avvenuta il 2 settembre del 1944. Dopo la deposizione delle corone di alloro alle lapidi dei sindaci Bargagna, Galluzzi, Pagni e Pistolesi e a quella dei caduti sotto le Logge di Palazzo Gambacorti, la sala Regia ha ospitato autorità civili e religiose per la commemorazione ufficiale alla presenza del sindaco Marco Filippeschi, del presidente della provincia Andrea Pieroni, della presidente del Consiglio Comunale Titina Maccioni, dell’assessore Marilù Chiofalo e del presidente provinciale ANPI Giorgio Vecchiani.

Ecco il discorso pronunciato dal primo cittadino Marco Filippeschi.

"Signor Prefetto, signor Presidente della Provincia, autorità civili e militari, rappresentanti delle associazioni dei partigiani e degli ex combattenti, rappresentanti della Comunità ebraica, il primo settembre gli alleati passano l'Arno tra Caprona e Uliveto. Il giorno seguente truppe alleate e staffette partigiane entrano in città. Pisa e' libera. Le campane delle chiese di campagna suonano a festa: e' la  colonna sonora semplice e popolare che accompagna quelle ore di gioia e sollievo, e' l'espressione liberatoria della fine di lunghi anni di oppressione e tirannia e dell'ultimo terribile anno di guerra.

Centinaia di persone sottoposte a provvedimenti di polizia, migliaia di schedati, l'onta, prima della guerra, di aver dato in San Rossore promulgazione alle leggi razziali, danno la misura di quanto Pisa dovette patire sotto l’oppressione fascista, di un regime che in alleanza con i nazisti si rese responsabile della distruzione dell’Europa e del nostro paese, di una guerra mondiale che costò 50 milioni di morti, perpetrò l’Olocausto. Ma il martirio della città doveva ancora compiersi. Altre prove, altre sofferenze e tribolazioni attendevano il popolo di Pisa.

Nel 1943 Pisa, che considerava se' stessa immune da attacchi , subisce immani bombardamenti, distruzioni e spopolamento.
Nello stesso 1943 i nazifascisti percepiscono il volgere della guerra e reagiscono portando agli estremi barbarie e crudeltà.
Una cinica e spietata "politica del massacro" caratterizza la condotta dei nazifascisti, che vogliono terra bruciata attorno a loro, che intendono con il terrore scoraggiare ogni forma di resistenza e di consenso ad essa.
Nemmeno un terrore così efferato e brutale riuscirà a piegare l'organizzazione della resistenza che scriverà, anche nel nostro territorio pagine di grande eroismo, malgrado i rastrellamenti, malgrado le stragi.
E' un lungo, doloroso elenco quello delle stragi a Pisa: San Biagio, Coltano, San Rossore, l'eccidio di casa Pardo Roques e le altre centinaia di vittime in tutta la provincia.

Non e' rituale ripercorrerne l' elenco, e' piuttosto un nostro preciso dovere, affinché nessuno dimentichi, nessuno semplifichi, nessuno smarrisca il senso e la proporzione degli eventi di allora.
Negli avvenimenti di allora, accanto a sciagure e sofferenze, c'e il riscatto di un popolo che, attraverso la Resistenza antifascista e la lotta di Liberazione. Lotta di Resistenza fatta da partigiani, da soldati, da donne e uomini che la sostenevano, con la quale l’Italia percorre a testa alta la via di un Secondo Risorgimento e conquista poi la Costituzione Repubblicana, che disegna una democrazia nuova, integrale, assai più forte di quella elitaria che non seppe resistere alla malattia totalitaria.

E’ inaccettabile che la ricorrenza del 25 aprile, festa della Liberazione, come quella del 2 giugno, festa della Repubblica, siano considerate un fardello da scaricare in tempi di crisi, magari da chi ha concorso largamente alle ragioni della crisi – solo oggi si fanno proposte per combattere la piaga nazionale più grave, l’evasione fiscale, mentre ieri si smantellavano i provvedimenti positivi e si facevano condoni –, e non invece un irrinunciabile punto di riferimento per la costruzione dell’identità nazionale. Evidentemente le celebrazioni del 150mo dell’Unità d’Italia e i richiami del Presidente Giorgio Napolitano non sono bastati a sconsigliare queste scelte. E allora dobbiamo contrastarle e lo faremo, come ogni altra ricorrente volontà di oscurare o confondere il senso della storia e i principii della Costituzione.
E’ inaccettabile poi, è dovere dirlo, ogni offesa o minaccia ai testimoni della Resistenza, come purtroppo abbiamo dovuto vedere in queste settimane.
La Liberazione ci ha donato una democrazia basata innanzitutto sulle istituzioni più vicine al popolo, democratiche. Questa mattina abbiamo reso doverosamente omaggio all'arcivescovo Vettori che Pisa volle onorare con il conferimento della cittadinanza, e ai Sindaci della liberazione e della ricostruzione.

In questo omaggio c'e il dovere istituzionale del Comune, ma c'e anche un sentimento che va al di  la' della celebrazione e propone, attraverso un esempio di grande significato, cosa voglia dire in frangenti storici drammatici essere uno Stato che ha le autonomie locali tra i propri elementi costitutivi.

Anche a Pisa dal Comune si ripartì, per ricostruire. Questo messaggio così chiaro e preciso aumenta la preoccupazione per quanto avviene in questi giorni a danno dei comuni e che vede unanimemente schierati a difesa dell'autonomia delle istituzioni più vicine al popolo sindaci di diverso orientamento, a dimostrazione di come sia sentita e necessaria una visione non centralista dello stato e di come sia diffusa la preoccupazione per un momento tra i più difficili della storia del nostro paese.

Per trovare un momento altrettanto difficile bisogna tornare con la memoria agli anni settanta, alla crisi petrolifera, alle domeniche a piedi. Allora assistemmo a una profonda crisi che nasceva dalla rottura di equilibri non più sostenibili, oggi subiamo le conseguenze di un mercato che, non regolato, può portare conseguenze pesanti per le economie , per le famiglie, per i giovani. In una parola per il futuro di tutti noi.
Ora come negli anni della Resistenza occorre poter contare su una guida autorevole e forte per prestigio e autorità morale e politica.
Ora come allora si deve poter contare sulle forze migliori del paese e dare al paese una visione e una chiarezza di idee che non nascondano le difficoltà'  ma siano in grado di ridare speranza a a tutti.
Occorre la stessa tensione etica e morale che caratterizzo' la stagione del riscatto e della liberazione, fare appello a simili sentimenti e capacita'. E occorre ripartire dal basso dalle comunità e dalle istituzioni che le rappresentano.

E' sorprendente constatare come ogni volta che si parli della liberazione di Pisa, o dell'Italia, della Resistenza e della Costituzione si trovino motivi di stretta attualità e intrecci non banali tra la storia recente e le occorrenze attuali.
Questo dimostra quanto sia utile coltivare la memoria storica, in modi sempre nuovi.
Una memoria che vogliamo arricchire, quando è possibile e necessario farlo, come faremo da quest’anno, ogni 5 settembre, con la Giornata del ricordo della firma delle leggi razziali contro gli ebrei, avvenuta a San Rossore, per mano del Re e per decisione di Mussolini e del regime fascista, nel solco della persecuzione che porterà agli orrori della Shoah. Anche in questa occasione, lo vedremo, tanti saranno gli spunti d’attualità e di grande significato.

C'e una linea di valori, di idee, di obbiettivi ancora da realizzare che rende le  commemorazioni della nostra storia più prossima momenti di significativa attualità, e che ci spinge a diffondere conoscenze e riflessioni, per rendere omaggio nel modo più adeguato alle vittime, per ricordare gli eroi e per avvicinare specialmente i giovani al senso più profondo della democrazia, dell'unita nazionale, del bene comune.

 

 

 

 

 

 

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