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Cronaca

25 aprile 2012: intervento del sindaco di Pisa Marco Filippeschi

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PisaToday

Anche quest’anno siamo impegnati a far vivere i ricordi e i valori che questa giornata rappresenta, coinvolgendo la città e specialmente le scuole e i giovani, con  tante iniziative che consentano di avere conoscenza della storia e  consapevolezza dei momenti fondanti dell’Italia repubblicana. Questo sforzo è necessario per fronteggiare tempi difficili. Lo ha dimostrato l’impegno per le celebrazioni del 150mo dell’Unità d’Italia e la grande partecipazione di popolo che si è vissuta: recuperando ragioni forti dell’identità nazionale, ritrovando emozioni, ci siamo sentiti più forti e più coesi di fronte alle sfide difficili che dobbiamo affrontare.

Da oggi il fitto calendario di incontri che fino al 2 giugno coinvolgeranno le scuole cittadine, per riflettere sulla memoria della Resistenza al nazifascismo, sulla lotta di Liberazione, sul riscatto dell’Italia che condusse alla scelta della Repubblica e a scrivere la nostra Costituzione.

Questo lavoro continueremo senza soluzione di continuità guardando già al 5 settembre, giornata che Pisa ha dedicato al ricordo delle leggi razziali, volute da Mussolini e  firmate dal Re Vittorio Emanuele III a S. Rossore. Giornata che sarà seguita da altre iniziative e che sarà volta  all’approfondimento culturale delle radici della discriminazione degli ebrei fino all’Olocausto, radici che nell’epoca contemporanea parlano della storia dei nazionalismi e dei fascismi. Per opporre storia e cultura ad ogni razzismo, che anche oggi semina odio e morte – è successo in Norvegia, a Utoya, e a Firenze, contro cittadini di origine senegalese – e ad ogni riproposizione neo fascista, che pure è presente anche nel nostro paese.

La cerimonia di oggi, dunque, ben lontana da essere un rito, una celebrazione isolata, è un momento di raccoglimento, un’occasione per rivolgere, insieme, un pensiero a tutti coloro che sono stati protagonisti dell’antifascismo e della luminosa lotta di liberazione, a chi si è sacrificato per affermare i principii sui quali è fondata la Costituzione. Principii scolpiti con parole semplici e toccanti nelle Lettere dei Condannati a Morte della Resistenza.

Ricordiamo i militari che, subito, reagendo allo sbandamento e al tradimento della Patria, dopo l’8 settembre combatterono per la libertà – e a Pisa abbiamo fulgidi esempi in questo senso.

Ricordiamo i partigiani, coloro che da civili, spesso giovanissimi, confluirono nelle formazioni combattenti e i tanti cittadini, uomini e donne, che quella lotta sostennero a rischio della loro vita.

Ricordiamo il sacrificio delle forze alleate, l'intervento che fu fondamentale per liberare l’Italia dall’invasore. Le forze della Resistenza lo affiancarono con onore e capacità militare e, come statisti e comandanti alleati riconobbero, e come hanno scritto gli storici, furono essenziali per stroncare l’aggressore nazista con i suoi complici repubblichini, per battere il potente esercito tedesco che risalendo l’Italia lasciò una tremenda scia di stragi, che insanguinò anche la nostra provincia, da Molina di Quosa a Guardistallo, e la nostra città.

Il più commosso dei pensieri va a chi ha dato la vita combattendo, a chi ha lasciato la vita nei campi di prigionia, a chi è stato vittima di stragi e rappresaglie, a chi è perito sotto i bombardamenti.

Celebrando il 25 aprile facciamo il nostro dovere di uomini delle istituzioni e lo facciamo volentieri, con sentimento.

Non sono mancati gli specialisti del disincanto a esprimere fastidio per le cerimonie del 25 Aprile, considerate ovvie e banali, superate. Ci sono state eminenti personalità delle istituzioni che hanno dato il cattivo esempio, e non solo per questo, come sappiamo. Volendo indulgere al relativismo storico e alla vanificazione di ogni valore fondante. Ogni paese, invece, ha il dovere di celebrare la sua memoria, anche quando questa è dolorosa, o scomoda. E l’Italia dev’essere almeno al pari degli altri grandi paesi. Deve affermare una memoria condivisa, rispettosa della verità della storia, rispettosa di tutti. Deve archiviare i cattivi esempi.

Questo dovremo fare anche pensando alle celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale, che si avvicinano, e che vedono già un forte impegno in Europa. Eventi ancora più lontani, si può pensare, ma ancora pieni di significati per dare conto della storia del XX Secolo. Anche per spiegare il valore del progetto per l’Unione Europea nato proprio perché non si ripetesse la catastrofe immane di due guerre mondiali, della Shoah, della rincorsa che ha portato all’uso delle armi nucleari, ad una spaventosa dissipazione di risorse e di futuro: tutto ciò che ha contraddetto la cultura, le conquiste di civiltà che l’Europa ha dato al mondo.

Ma c’è un altra riflessione da fare. Perché quando si perdono i punti di riferimento essenziali si perde anche l’autorevolezza necessaria che lo Stato deve trasmettere – e che in particolare i servitori dello Stato devono trasmettere – perché una comunità si riconosca nei propri doveri o perché siano fatti valere i diritti. E questo conta proprio e tanto più quando i cambiamenti accelerano: quando il mondo si trasforma e mutano gli equilibri, quando i confini diventano più labili, quando le differenze si mischiano e i dislivelli si fanno più evidenti e stridenti.

Un grande paese privo di un’etica condivisa va in rovina: consuma rapidamente il suo patrimonio, nega il futuro ai suoi giovani, non riesce più a costruire il cambiamento né a contrastare grandi poteri illegali e criminali e rende fragile e inefficiente la democrazia. E la democrazia non è una conquista data una volta per sempre: va resa efficace di fronte ai cambiamenti e dev'essere effettiva, si riconosce per la sua qualità.

Dunque abbiamo bisogno di verità e di unità e dobbiamo ritrovare l’orgoglio d’essere cittadini italiani ed europei, di fare semplicemente il nostro dovere, di dare tutta la nostra intelligenza per il bene comune, in tutte le nostre attività. Senza avere ancora l’illusione di poter vivere alla giornata, abbagliati dal successo effimero di pochi o nell'attesa che qualcun altro venga a risolvere i nostri problemi, ma secondo un'etica della responsabilità verso le nuove generazioni.

Questa ispirazione è il lascito migliore del 25 aprile e della ricostruzione del paese che da quel giorno si avviò: l'insegnamento lasciatoci da quel riscatto, l'esempio dato dai fondatori della Repubblica.

La Costituzione garantisce un sistema democratico aperto al rinnovamento.

Il populismo si nutre della delegittimazione delle istituzioni e, nella crisi economica che pure ha alimentato,  vuole consolidare le ingiustizie sociali e propone lo smantellamento dei diritti sanciti dal modello europeo.  Incombono nuovi nazionalismi che ci porterebbero soltanto in un vicolo cieco.

Non si può ancora frenare il cambiamento.

Nel nostro paese c’è bisogno di ricostruire un rapporto positivo fra il Parlamento, cardine della nostra democrazia, i partiti che vi sono rappresentati, strumento insostituibile di partecipazione, e il paese. Ciò per affrontare la crisi che ancora incombe e per creare una prospettiva positiva. C’è bisogno di istituzioni vicine, capaci di dare risposte fondamentali per restituire fiducia. Risposte attese, quali l’approvazione delle riforme istituzionali, con cambiamenti della seconda parte della Costituzione, che urgono e che da troppo tempo sono all’ordine del giorno. Serve una legge sui partiti politici che interpreti l’art. 49 della Costituzione. E' necessario darci nuove regole elettorali, per garantire governi stabili e responsabilità di scelta agli elettori dell’indirizzo politico di governo e dei loro rappresentanti.

C'è bisogno di “più Europa”. Ma non certo di un super-stato in centralizzato e pesantemente burocratizzato, ma di una più complessa e articolata costruzione multilivello, regolata da principii di sussidiarietà. E servono scelte coraggiose, che diano il senso di una svolta positiva contro il pericolo distruttivo di ripiegamenti nazionalisti. Lo ha chiesto il presidente Giorgio Napolitano, rivendicando “un dibattito pubblico trasparente, un confronto politico oltre i confini nazionali che possa sfociare anche nell'elezione diretta del presidente dell'organo di governo dell'Unione”, chiedendo la crescita “di attori politici e sociali strutturati al livello europeo” e “una dimensione parlamentare nella quale si integrino la rappresentanza nel Parlamento europeo con le rappresentanze nei Parlamenti nazionali, una rete di relazioni istituzionali che coinvolga ampiamente le autonomie regionali e locali”.

Questi sono i passi da fare, con una forte accelerazione, per i quali anche le città e le regioni devono rendersi protagoniste con iniziative inedite, spingendo per creare un movimento nuovo, che dia speranza, che superi la disperazione dell'antipolitica, i provincialismi, la fuga dalle responsabilità e tutte le miserie che hanno screditato l'impegno pubblico.

Il 25 aprile di venti anni fa moriva, in un incidente stradale, nel pieno del suo impegno di pastore e di uomo di cultura, padre Ernesto Balducci: un punto di riferimento per tanti giovani, nella lotta per la pace e per la giustizia, una presenza ancora vivissima in Toscana. Un vero educatore, che ci ha insegnato a vedere il mondo per intero e che seppe capire da anticipatore le contraddizioni che oggi viviamo e che dobbiamo risolvere.

Pisa dedicherà a lui momenti di ricordo e di riflessione.

Celebriamo questo 25 aprile anche in sua memoria, perché la sua lezione e quella dei fondatori dell'Italia democratica ci siano sempre di guida.

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