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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Sindacati, Federico Giusti lascia i Cobas: "Scelta sofferta ma inevitabile"

Giusti ha rassegnato le dimissioni dal sindacato: "Il progetto Cobas è fallito"

Pubblichiamo la lettera di Federico Giusti che lascia i Cobas:

Il progetto Cobas è fallito, non volerlo riconoscere è un grave errore. E’ fallita l‘autorganizzazione perché ogni vertenza sociale, sindacale e politica ha bisogno non solo di spontaneismo ma di progettualità e di percorsi organizzativi che scaturiscono da una analisi della fase oggi inesistente.

E’ fallita la logica di rinchiudersi in ambito territoriale disconoscendo le scelte della organizzazione nazionale con una classe dirigente inamovibile, supponente e incapace di dialogare con altre realtà, rivolta ai fasti, veri o presunti che siano, del passato ma incapace di guardare al presente e al futuro.

La logica territoriale per vivere ha bisogno di autonomia organizzativa e di una strategia che non può essere solo sindacale ma svilupparsi all’interno del territorio su problematiche sociali, culturali e con una visione politica più complessiva.

Demandare ad altri soggetti, di movimento o presunti tali, il compito di costruire l’opposizione politica al Governo del territorio e al Governo nazionale è il risultato di una desolante resa politica che non vogliamo accettare o subire come accaduto nelle giornate che hanno preceduto e seguito il 29 Aprile a Pisa.

Del resto, cosa potrebbe fare una organizzazione come i cobas da anni assente dalle piazze dove si contesta il Governo e attiva per lo piu' nella raccolta delle firme refendarie?

Per quanto mi riguarda è prioritaria invece l'autonomia sindacale, politica e culturale, una autonomia che metta al centro della riflessione e dell'operato comune gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici a partire da una analisi aggiornata di cosa siano oggi il mondo del lavoro, la contraddizione tra capitale e lavoro, il processo di ristrutturazione della pubblica amministrazione che mette in discussione servizi fino ad oggi garantiti e teoricamente inalienabili come quello alla istruzione e alla sanità.

L' Autonomia sindacale e politica necessitano di percorsi organizzativi conseguenti e di una indipendenza di pensiero, ieri dalla sinistra, oggi da settori di movimento che semplificano l’analisi della realtà per piegarla ad alcune istanze parziali o per legittimare quella demenziale dicotomia esistenzialista che vedrebbe contrapposti i nuovi partigiani che lottano ad una massa passiva per la quale non vale piu’ la pena spendere energie. Queste logiche sono antitetiche a percorsi inclusivi e conflittuali su larga scalta e, per quanto si dicano innovativi, hanno origini culturali vecchie e da sempre perdenti.

All’ordine del giorno occorre mettere una analisi aggiornata della realtà ma anche un approccio complessivo che non sia solo quello di limitare la azione al ruolo di consulente sindacale, oggi bisogna sapere guardare al territorio e alle sue contraddizioni, alle vertenze aziendali e alle contraddizioni sociali, esistono ampi settori per i quali la tradizionale pratica sindacale risulta inadeguata (per esempio il variegato mondo della precarietà). Lo strumento Cobas è ormai inadatto a svolgere questo compito, è stata una esperienza importante nella quale molti di noi hanno creduto spendendosi attivamente nella costruzione di strutture con un lavoro quotidiano faticoso, spesso portato avanti nel disinteresse di parti significative della stessa organizzazione che ben poco si è spesa per la costruzione di un sito, per la propaganda sui social network, per la costruzione di un’area culturale e sociale di riferimento, per un dibattito portato avanti con numerose iniziative editoriali e aperto alla città, non ad uso e consumo di singole aree politiche.

Vorrei sottolineare che solo per pochi è prioritaria la prospettiva del sindacato di classe all’interno di una dialettica che veda il sindacato non in contrapposizione a percorsi politici e sociali, la costruzione e la guida dei quali non dovrebbe essere demandata a chicchessia.

Il modello Marchionne è ormai giunto alla sua realizzazione, evidenti sono i reali rapporti di forza fra le classi. Non sono più necessari i sindacati che rivendicano concertazione, che stanno sempre col braccio teso e il cappello in mano per chiedere la partecipazione ai tavoli sindacali dove vengono ormai elargite elemosine; il solo sindacato compatibile con il Governo e il padronato è quello dei gendarmi che obbediscono e assecondano senza discutere i disegni di sfruttamento e di comando del Capitale.
Ma è innegabile che il livello di coscienza sia ancora fin troppo basso se questi sindacati continuano ad avere milioni di iscritti e voti alle elezioni rsu.

La recente rottura nella minoranza Cgil con la uscita di numerosi delegati e la loro imminente iscrizione a Usb dovrebbe indurre i Cobas a qualche riflessione, qui non si tratta di cedere alla compravendita dei delegati a colpi di permessi sindacali pagati dalla organizzazione, tuttavia a nessuno passa in mente di approdare ai cobas che non vengono ritenuti una alternativa sindacale credibile da chi nelle fabbriche ex Fiat si oppone a Marchionne.

La trasparenza e l'onestà da soli non bastano, tuttavia è innegabile che nel corso degli anni il padronato si sia comprato parte degli apparati sindacali con il loro esercito di funzionari che vivono con buoni stipendi e fanno di tutto pur di non tornare al proprio lavoro, incluso accettare accordi al massimo ribasso che distruggono il potere di acquisto e di contrattazione. Da parte nostra non possiamo neppure trascurare il ruolo svolto dai patronati, un diffuso sistema di potere che il Governo Renzi ha provato a mettere in discussione salvo poi rinunciare ad un attacco frontale per avere in cambio un silenzio assenso sulle politiche previdenziali, contrattuali, sullo smantellamento dei contratti nazionali.

Negli ultimi 20 anni il sindacalismo di base ha rappresentato una pratica e una voce di resistenza al padronato, a macchia di leopardo è riuscito anche ad ottenere dei buoni risultati se non altro ha radicalizzato lo scontro in alcuni settori organizzando quanti erano stati marginalizzati dai sindacati ufficiali per essersi opposti alle privatizzazioni.

Al di là della resistenza, il sindacato di base non è riuscito seriamente a radicarsi nei luoghi di lavoro e diventare un soggetto di massa. A seguito le tendenze corporative che si andavano affermando nella società, il sindacato di base si è diviso in mille sigle riproponendo logiche e pratiche analoghe a quelle dei gruppi politici degli anni settanta, la storia evidentemente non sembra avere insegnato a evitare gli stessi errori.

Porre alla attenzione dei lavoratori e delle lavoratrici una diversa concezione\pratica sindacale consci delle difficoltà che troveremo sul nostro cammino: se 20 anni fa alla concertazione si ribellarono i sindacati di base e settori pur minoritari della stessa cgil, oggi al sindacato asservito e complice dei padroni e del Governo pare non esista un’alternativa, a meno di non accontentarsi dell’esistente, di realtà sindacali di base incapaci di costruire percorsi comuni se non in qualche settore\comparto.

La esperienza dentro i Cobas Pubblico Impiego nazionale è stata particolarmente deludente, basti pensare alla gestione della federazione con la esclusione dei dissidenti dalle decisioni che contano, un deficit di democrazia che si aggiunge alla assenza di lettura dei processi in atto nella Pubblica amministrazione con il riprodurre un modello organizzativo vecchio e appiattito sulle rsu o su una linea nazionale inesistente, basti pensare che nessuna analisi seria è stata fino ad oggi costruita attorno ai processi di ristrutturazione nel Pubblico.
Ancora più drammatica la situazione nel lavoro privato con una unica federazione che comprende decine di categorie, senza alcun coordinamento di settore se non rare eccezioni sulle spalle di singoli compagni

Il modello organizzativo dei Cobas è ancorato ad una visione ideologica del mondo del lavoro che già 30 anni fa non funzionava, immaginiamoci oggi….
Qualunque tentativo di mettere in discussione processi organizzativi e decisionali si è scontrato in un muro di gomma non solo a livello nazionale ma anche in molte realtà locali che hanno interiorizzato logiche e culture perdenti.

La critica mossa ai Cobas andrebbe in parte fatta anche ad altre realtà, fatto sta che tante sigle divise, e spesso in concorrenza tra loro, non hanno consentito al sindacalismo di base di costituire un polo alternativo ai sindacati ormai asserviti al Governo e ai padroni.

Tra i segnali positivi da riprendere e valorizzare sono i coordinamenti di settore, dagli autoferrotranvieri a Pubblico impiego in movimento, che hanno messo da parte le logiche di sigla per costruire ambiti unitari di iniziativa e di lotta, la stessa attenzione va posta a tutti quei coordinamenti e comitati di operai che non intendono accettare di essere resi compatibili con le esigenze padronali.

Che fare allora?

Intanto una assunzione di responsabilità a livello individuale non guasta, Penso che ci sia bisogno di un sindacato di classe e conflittuale, di lavorare per unire i lavoratori e le loro istanze.
Il ruolo delle Rsu va messo in seria discussione perchè l'elezione di delegati rappresenta spesso un limite alla azione sindacale riproponendo logiche e dinamiche analoghe a quelle dei sindacati concertativi. Da troppi anni l'azione del sindacato di base si limita alla presenza in rsu senza alcuna prospettiva di comparto, senza costruire percorsi conflittuali nei luoghi di lavoro, un ruolo spesso residuale e marginale.
E' fondamentale costruire dei collegamenti con parte del sindacalismo di base italiano e una solidarietà attiva con i sindacati di classe che resistono alla barbarie neoliberista (per esempio il Pame in Grecia, altre realtà presenti in Europa).

Di sicuro questo distacco dai Cobas nazionali e pisano è una scelta sofferta ma inevitabile per recuperare autonomia progettuale e una iniziativa di classe coerente, per non dovere più mediare con settori di movimento che si prefiggono la distruzione tout cort della iniziativa sindacale o intendono renderla subalterna a interessi di piccole aree.

Penso di avere dato in questi anni un contributo attivo alla costruzione di un sindacato di base presente nei luoghi di lavoro e sul territorio, esco da questa esperienza con amarezza ma arricchito sotto ogni aspetto. Resta l'impegno di delegato rsu indipendente al Comune di Pisa per rispetto del voto dei lavoratori e delle lavoratrici a cui va sempre la prima e l'ultima parola.

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