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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Cascina

Giorno della Memoria a Cascina: "Io, Kitty Braun, deportata nel lager a nove anni"

Sopravvissuta al campo di Berger Belsen ha incontrato gli studenti di Cascina, facendo commuovere per il suo racconto così denso di tragici particolari. "Mio cugino Silvio, un bambino, morì in quella baracca, dopo una notte di pianti e sofferenze" ha ricordato

L’esperienza della deportazione raccontata ai ragazzi delle scuole superiori. Stamattina, nella sala consiliare del municipio di Cascina, Kitty Braun, italiana di Fiume, oggi fiorentina, ha raccontato agli studenti di quattro classi del Liceo artistico 'Russoli' e dell’Istituto d’istruzione 'Pesenti' la sua storia di bambina di nove anni deportata nel campo di sterminio di Bergen Belsen.

"La mia era una famiglia ebrea che abitava a Fiume - ha raccontato Braun - ho frequentato una scuola riservata agli ebrei e ho subito le conseguenze delle leggi razziali. Quando diedero fuoco alla sinagoga di Fiume, mio padre decise di abbandonare la città. Di notte, per non farci vedere, prendemmo un treno che ci portò a Trieste, dove trovammo alloggio in un albergo. Non potevamo giocare né ridere, non potevamo portare le scarpe perché non si doveva sapere che eravamo lì. Poi un nuovo viaggio in treno, fino a Mestre, dove ogni notte c’erano i bombardamenti e ci alzavamo per andare nella campagna, per sfuggire alla bombe, fino a quando non trovammo un’altra sistemazione presso una famiglia contadina fuori città".

"L’11 novembre del 1944, alle 6 del mattino, arrivarono le SS con un fiumano che ci fece riconoscere. Fummo portati in carcere, poi alla risiera di San Sabba. Da lì, in un treno bestiame, al campo di Ravensbruck e poi al lager di Bergen Belsen, nel nord della Germania - ha proseguito Kitty Braun - ricordo il percorso a piedi che facemmo dall’entrata del campo alla baracca. Gli altri prigionieri, smagriti, con gli occhi fuori dalle orbite, ci chiedevano, al di là del filo spinato, nelle loro lingue, notizie dei loro cari. La baracca era fatta di legno, dovevamo fare i nostri bisogni in una fossa, eravamo denutriti, malati di tifo. Mio cugino Silvio, un bambino, morì in quella baracca, dopo una notte di pianti e sofferenze. Quando alla fine spirò, la madre, svuotata per le pene che il figlio dovette sopportare, si sciolse in un pietoso “finalmente”. Avvolto in un lenzuolo, Silvio fu buttato con gli altri cadaveri accatastati".

"Quando i tedeschi abbandonarono il campo restammo per giorni rinchiusi nella baracca senza mangiare, senza bere, ricoperti dei nostri escrementi - ha continuato il suo racconto - quando arrivarono gli inglesi a liberarci, vidi i loro occhi inorriditi, per quello che vedevano, per il terribile odore che sentivano. Solo in quel momento mi sono resa conto della terribile condizione in cui vivevamo. Mi misero su un tavolone e con l’acqua fredda di una sistola e un bruschino mi disincrostarono dallo sporco che avevo addosso. Mi adagiarono in un letto. Ricordo ancora quel momento e il profumo delle lenzuola pulite. Purtroppo, mio fratello Roberto morì poco dopo la liberazione dal lager, per la tubercolosi presa nel campo".

Ugo Caffaz, antropologo, ha sottolineato le dimensioni della Shoah: "Nella seconda guerra mondiale sono morte 65 milioni di persone, di cui 13 milioni nei campi di sterminio nazisti. La metà erano ebrei e 1,5 milioni bambini. La cultura, la conoscenza, la presa di conoscenza che tutto questo è stato, è l’unico modo di combattere l’affermazione di noi stessi attraverso l’eliminazione dell’altro".

"Il nostro contributo al Giorno della memoria vuol essere quello di parlare delle persone che hanno vissuto quegli eventi tragici - ha detto il sindaco di Cascina Alessio Antonelli - per estrarre dalla grande storia che sta sui libri, le storie delle persone che possono raccontarci la loro esperienza diretta di quei giorni".

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