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Cronaca

Porto di Marina, la Boccadarno chiede il concordato preventivo: debiti per oltre 100 milioni

La società ha comunicato l'avvenuta deliberata del Cda a fine novembre. Si punta ad un nuovo piano di gestione per realizzare i progetti, ma per Ucic-Prc è una "deriva annunciata, un altro fallimento del sistema voluto da amministrazioni e imprenditori"

La 'Boccadarno Porto di Pisa Spa', la società realizzatrice del porto di Marina e con in previsione interventi a corredo con insediamenti residenziali, commerciali e turistici, ha chiesto con una delibera del Cda a fine novembre di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo, a causa di debiti pari ad oltre 100 milioni di euro.

Una simile scelta, giustificata dal management di Boccadarno come un passaggio utile al consolidamento della posizione precaria della società in vista di nuovi investimenti e tutela dei creditori, è per il gruppo consiliare di 'Una Città in Comune-Rifondazione Comunista' "un altro colpo al modello di sviluppo della città targato Pd".

"Fare un concordato preventivo - spiega il capogruppo Auletta - per rilanciare l'attività non ha senso, tale procedura ha tutt'altro significato nel nostro ordinamento. Si fa per evitare il fallimento diretto. Peraltro di una società che aumenta il capitale sociale a 55mila euro, quando gira milioni. L'amministratore Simone Tempesti a maggio 2015 diceva che il progetto andava avanti senza problemi, ora c'è indebitamento di oltre 100 milioni. E' una barzelletta, 6 mesi fa quindi andava tutto bene? Tutti quei debiti non si fanno in poco tempo. Denunciamo, come in altri casi recenti, la natura speculativa dell'opera che ora mostra la sua realtà, dove a pagare è la città".

Un conto salato: "La società Boccadarno - prosegue Auletta - deve ancora 8 milioni per terreni pubblici non pagati, divisi in 4 milioni al Comune di Pisa e 4 alla Gea, società al 99% sempre del Comune. Aggiungiamo poi le criticità ambientali dei cumuli di terra di scavo ancora giacenti nelle aree agricole ad Ospedaletto. Il rischio è che questi soldi non vengano mai recuperati".

Visti i precedenti Bulgarella e Sviluppo Navicelli la verifica si sposta anche sulle fidejussioni legate alle opere di urbanizzazione, previste all'interno della convenzione urbanistica del 2007 fra Boccadarno e Comune: "Abbiamo fatto richiesta di accesso agli atti per capire la copertura, non vorremmo fossero anche queste tossiche. Serfogli ad un question time di dicembre disse che opere erano completate ma in parte mancavano i collaudi, staremo a vedere".

La critica del consigliere comunale e del segretario di Rifondazione Comunista di Pisa Andrea Corti riguarda anche e soprattutto un "sistema di potere che si è creato negli anni fra le amministrazioni comunali ed un ristretto gruppo di imprenditori". Fra questi lo stesso Stefano Tempesti, dal giugno 2014 amministratore della Boccadarno succeduto a Stefano Bottai, il quale fino al 2012 era anche amministratore unico della Sviluppo Navicelli, di cui lo stesso Tempesti è stato il presidente del collegio dei revisori dei conti. Altro amministratore delegato della Boccadarno è Paolo Carrozza, avvocato ex legale sempre della Sviluppo Navicelli. "Anche il gruppo Panchetti è interessato - aggiunge Auletta - dato che è socio di maggioranza di entrambe con il 25% della Sviluppo e il 51,3% di Boccadarno".

Andrea Corti pone l'accento sul sovradimensionamento dell'opera per le esigenze di Pisa: "La previsione urbanistica da 150mila metri cubi di immobili era fatta per coprire i costi dell'opera, ma date le dimensioni, la tipologia di intervento ed il contesto economico di concorrenza con altre aree anche più attrezzate era chiaro dall'inizio che non c'era la sostenibilità. Non siamo mai stati contrari a prescindere, si fece anche una controproposta, ma si procedette comunque con questa che è solo una speculazione: niente di positivo per il territorio è stato prodotto".

Il segretario di Rifondazione parla di dati Istat: "Dal 2002 al 2014 la città ha perso il 10% della popolazione attiva, 6mila unità, con il Pil aumentato del 3% ed una forbice reddituale sempre più ampia. In questi anni non si è creato un posto di lavoro degno di questo nome, eppure sono girati centiana di milioni di euro. Tutto questo è frutto di una scelta politica: perché si è scelto di investire qua e non in altri settori?".

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