Faccia a faccia con i propri limiti: l'impresa sfiorata di Marcello e Francesco sul Lenin Peak
Soltanto il maltempo ha fermato i due escursionisti dal raggiungimento della vetta a oltre 7.100 metri: "Un percorso che ci ha messi a nudo"
Prendete un campione di mezzo fondo, allenatissimo e prontissimo allo sforzo fisico, e piazzatelo in una gara di maratona. Farà una fatica bestiale, il suo corpo impiegherà molto tempo prima di abituarsi alle nuove distanza, alla nuova fatica, ai nuovi limiti da raggiungere e superare prima di arrivare a tagliare il traguardo. Il paragone è ideale per rappresentare il tipo di impresa a cui si sono approcciati, tre settimane fa, Marcello Villani e Francesco Saviozzi. Sportivi 'estremi' pisani che fanno del superamento della soglia massima della fatica il loro mantra, nelle ultime tre settimane si sono cimentati con quella che, a tutti gli effetti, è entrata di diritto fra le 'Imprese della vita'. Sono partiti alla volta del Kirghizistan per scalare la vetta del Lenin Peak, posizionata a 7.134 metri di altitudine. "Un gigante considerato 'facile' dagli escursionisti - spiega Marcello, tornato alla sua casa di San Giuliano Terme insieme al compagno di avventure Francesco - ma che, come tutte le montagne, nasconde insidie e pericoli che costringono le persone che ne solcano sentieri e ferrate a mantenere altissima la soglia dell'attenzione".
La fatica, dicevamo. Marcello e Francesco sono abituati ad averla come compagna di viaggio nelle loro 'pazzie' sportive. "Ma ciò che abbiamo vissuto nelle tre settimane di acclimatamento e scalata delle pendici del Lenin Peak è qualcosa di mai sperimentato prima. Soltanto di fronte a giganti del genere ci si può rendere conto di quanto il nostro corpo sia minuscolo, di quanto allenamento serva per arrivare in vetta. E soprattutto si comprende quanto sia relativo il concetto di tempo e di pazienza: quelli che servono in imprese di questo tipo vanno oltre la nostra quotidianità". Marcello spiega che "i nostri corpi, pur allenati e in ottima condizione, hanno impiegato molto tempo prima di abituarsi alle condizioni nelle quali ci trovavamo. Era quasi comico vedere le nostre difficoltà affiancate alla facilità con cui si muovevano, vivevano e lavoravano le persone del luogo. Solcavano i sentieri e le mulattiere a cinquemila metri, a bordo di asini carichi di materiale per la scalata e di vettovaglie, con una naturalezza sconvolgente".
Arrivati al campo base, Marcello e Francesco hanno avviato il percorso di acclimatamento e abitudine alle condizioni del Lenin Peak, facendo la spola tra i campi 1, 2 e 3 prima di lanciarsi nell'impresa della scalata fino alla vetta. "Stavamo benissimo, gradualmente ci eravamo abituati molto bene al clima e alla fatica da sostenere - prosegue Marcello - purtroppo il clima non ci ha aiutato. A queste quote è talmente imprevedibile da doversi aggiornare ogni due ora con la guida e con il campo base, perché può mutare completamente e rappresentare un pericolo per la propria incolumità. Siamo arrivati alle pendici del gigante che c'era pochissima neve e i crepacci costellavano la scalata, rappresentando un grande pericolo. Arrivati al campo 3 si è scatenata una bufera di vento, grandine e neve: la temperatura è crollata in pochissime ore, le nostre tende sono state letteralmente sommerse da una coltre bianca fittissima. I pericoli erano cresciuti e, di comune accordo, abbiamo deciso di tornare al campo base e abbandonare a malincuore l'impresa".
"Il rimpianto più grande - aggiunge Marcello - è sulla tempistica della perturbazione che ci ha bloccato. Se fosse arrivata in zona un paio di settimane o sette giorni prima, ci sarebbero state le condizioni perfette per arrivare fino alla vetta. Ma questa è l'unica nota negativa dell'esperienza. Perché durante le tre settimane vissute alle falde e sulle pendici del Lenin Peak, abbiamo scoperto nuovi limiti, abbiamo conosciuto le storie e le vite delle altre persone che come noi si stavano cimentando nella scalata. Siamo entrati in contatto con la cultura del Kirghizistan e soprattutto abbiamo scoperto nuove sfaccettature delle nostre persone. Arrivati al campo 3, a 6.100 metri di altitudine, Francesco si è sciolto in un pianto liberatorio. Questo percorso ci ha messo a nudo: eravamo semplicemente Marcello e Francesco". Il rimpianto si tramuterà in stimolo per riprovarci? "Adesso ci riposiamo perché siamo distrutti - conclude Marcello con una bella risata - certamente il desiderio di riprovarci c'è. Ma per un po' adesso vogliamo rimanere sul livello del mare".