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Sprechi alimentari, si butta il 27% del cibo: i pisani possono risparmiare 50 milioni di euro

Mercoledi 16 ottobre si celebra la Giornata mondiale dell'Alimentazione e in Comune si terrà una tavola rotonda per parlare di sprechi alimentari. I pisani spendono 200 milioni di euro l'anno: la 'spending review' del cibo varrebbe circa 50 milioni

In Italia ogni anno viene buttato mediamente il 27% dei generi alimentari prodotti, anche Pisa rientra nella media: circa 100 mila abitanti spendono annualmente 200 milioni di euro in cibo. Da questi dati se ne deduce che una 'spending review' antispreco consentirebbe di risparmiare 50 milioni l'anno. Così è partita la riflessione di Giuliano Meini, presidente locale di 'Slow food' per presentare “Pisa e l’etica del cibo”, la tavola rotonda che si svolgerà nella Sala Regia di Palazzo Gambacorti mercoledi pomeriggio in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione.

"Su questi temi bisogna fare un serio investimento culturale - ha commentato l'assessore Danti - tutto il processo che conduce gli alimenti dal campo fin sulle nostre tavole, passando per gli scaffali dei negozi, è essenzialmente culturale e per questo bisogna trovare un punto di equilibrio fra artificiale e naturale". Le analisi della FAO e di Last Minute Market, il centro di ricerche sul cibo e sullo spreco dell'Università Alma Mater di Bologna guidato da Andrea Segrè, ci indicano come corresponsabili della fame del mondo che colpisce 1 persona su 8.

Oggi il business del cibo a buon mercato sta sostituendo quello delle nuove tecnologie. Le grandi multinazionali orientali, che hanno incassato miliardi di dollari con PC e telefonini, oggi li investono comprando intere regioni nei continenti poveri: il Land Grabbing sta distruggendo le economie locali di intere nazioni africane. Con 1 dollaro ad ettaro si possono prendere in affitto per 99 anni territori di milioni di km quadrati con lo scopo di fare monocolture di cereali da esportare in tutto il mondo, ma prima di tutto destinati ai miliardi di Asiatici che per lavorare, e produrre gli oggetti che da laggiù provengono, chiedono solo di mangiare. I territori africani vengono così trasformati in enormi e spaventosi campi di monocultura, azzerando le comunità che ci vivono espellendone gli abitanti.

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