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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

Il pensiero economico di Alessandro Tantussi: "da Adam Smith all'Austerity"

Adam Smith, J. M. Keynes, M. Friedman, P. Krugman, i "Bocconi Boys", la BCE, l'austerity, i "dottori" dell'economia, ed infine... come la penso io! (senza alcuna presunzione, ma con un po' di faccia tosta)

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PisaToday

Paul Krugman, classe 1953, professore all’università statunitense di Princeton e premio Nobel per l’economia nel 2008, è un tipo abituato a dare spesso giudizi taglienti. Per questo, da tempo Krugman non usa mezze parole nel criticare quelli che lui chiama con tono di sberleffo i “Bocconi Boys”, dal nome del prestigioso ateneo milanese di via Sarfatti. Si tratta di due noti economisti italiani: il celebre professore di Harvard Alberto Alesina e la sua collega Silvia Ardagna, entrambi laureatisi proprio all’Università Bocconi.  Secondo Krugman, Alesina e Ardagna sono tra i colpevoli delle politiche di austerity economica che, da tre anni a questa parte, hanno portato l’intera Europa (e in particolare i Paesi più vulnerabili come l’Italia) nel vortice di una recessione che non finirà neppure nel 2013.

La scuola di pensiero degli studiosi come Krugman  segue ancora il “credo” di John Maynard Keynes, l’economista di origine britannica che ispirò le politiche contro la Grande depressione attuate dal presidente americano Roosvelt negli anni ‘30 del secolo scorso. Quel signore che che diceva, tra le altre cose, “nel lungo periodo saremo tutti morti” pertanto dobbiamo prima di tutto pensare all’oggi ed al domani, non facciamo troppe ipotesi su quello che sarà dopodomani, troppe sono le variabili che interverranno nei prossimi 3,4 o 5 anni. Non esageriamo con i piani quinquennali o decennali  utilizzati nel passato dai regimi ad economia pianificata di destra o di sinistra , quando l'iniziativa economica era in larga parte gestita da enti pubblici. 

Sul fronte opposto, ci sono gli esponenti di altre correnti accademiche di stampo monetarista o “liberista”, che hanno avuto come punto di riferimento Milton Friedman, premio Nobel nel 1976, anti-keynesiano convinto e ispiratore delle politiche di Reagan e della Thatcher negli anni ‘80. È nel solco di questa “ideologia”anti-liberale, secondo molti studiosi keynesiani, che sono maturate le politiche europee degli ultimi anni, basate su un’austerità che, alla fine, si è rivelata un rimedio peggiore del male. Tendenzialmente io sono un "liberista". Ritengo che le risorse del "mercato" ovvero la volontà e la libera iniziativa di milioni di persone che, operando all'interno di un sistema di mercato più libero possibile, determinano la scelta migliore e più democratica. Pertanto dovrei essere, forse, uno tra coloro che  avversano la politica economica di Krugman, che appunto è un Keynesiano doc e non un liberista. Invece mi trovo tra gli estimatori del premio Nobel. Ma credo non ci sia affatto contraddizione in quel che penso, anzi!

Sono profondamente convinto che le politiche economico-monetarie fiscali siano state la rovina del’Europa, della politica economica dell’Europa e della politica finanziario-fiscale dell’Europa basata sull’Euro e sull’austerity, sponsorizzata da Merkel e dalla Germania.
Più in generale credo fermamente che la presunzione dei governanti di determinare lo sviluppo e  la crescita del Pil delle nazioni che fanno parte dell’Europa, e quindi del Pil pro-capite degli europei attraverso l’austerity, sia il principale fattore della recessione che attanaglia gli stati, i popoli ed i singoli cittadini dell’Europa.

 Sono assolutamente convinto che, se le strade per uscire dalla crisi fossero state lasciate più nelle mani dei governati che in quelle dei governanti, saremmo già fuori dalle secche di una situazione che sta conducendo i popoli alla fame ed alla instabilità sociale, financo verso un possibile sbocco nella rivolta sociale e nella violenza quando la recessione, la fame e la insoddisfazione del popolo supererà i limiti del tollerabile. Io auspico un ben maggiore grado di libertà dei popoli nel determinare quelle che sono le scelte da perseguire ed una sostanziale riduzione della interferenza degli stati nazionali e soprattutto dell’Europa nell’economia e nella finanza. Ciò non vuol dire lasciare libero sfogo alla speculazione o alle iniziative dei potenti o delle multinazionali. Ciò significa, secondo il mio punto di vista, limitare al minimo gli interventi per evitare che l’economia diventi una giungla nella quale vige solo al legge del più forte.

Teoricamente la legge del più forte sarebbe quella più efficiente nel lungo termine anche a favore di più deboli, ma non possiamo negare che essa consentirebbe che, nel breve termine, i più deboli venissero sbranati come avviene nella giungla o nella savana. Non dubito che, col tempo, predatori e prede si troverebbero a determinare il migliore degli equilibri possibili per tutti, ma resta pur sempre il fatto che siamo uomini e non bestie, e qualche limite a tutela delle prede dobbiamo pure imporlo, sia pur a costo di una evoluzione più lenta e meno efficace. Ma non esageriamo con le intromissioni nelle scelte del mercato.

Qualche segnale di riconoscimento di tale impostazione sembra emergere perfino dal Fondo Monetario e dagli altri organismi internazionali,  ed addirittura dagli organismi europei ivi compresa la BCE e Draghi. Solo la Bundesbank sembra restare ancorata ai vecchi schemi ed agli interessi particolari di una delle nazioni che compongono l’Europa a ovvero la Germania. Credo intensamente nel fatto che i popoli, liberi di gestire il proprio futuro, possano operare meglio e più efficacemente di quanto possano fare pochi governanti che, sulla base di un sistema dirigistico ed antidemocratico affidato nelle mani di pochi “illuminati”.  Una politica economica che partisse dal basso, e non dall’alto, sarebbe secondo me più efficace e, nella peggiore delle ipotesi,  quantomeno più democratica e non imposta da nessun “solone” dell’economia.  

Ovviamente ciò potrebbe avvenire solo per approssimazioni successive: la volontà di consumatori ed investitori tenderà, sperimentando errori e rapide inversioni di tendenza, che pure non eviteranno onerose e talvolta drammatiche conseguenze nell'economia dei singoli, ad un progressivo e crescente uniformarsi di tutti gli attori della politica economica che nella loro piccola, e talvolta singolarmente ottusa ricerca di migliorare le proprie condizioni di vita, condurrà comunque verso la scelta migliore attraverso un faticoso ma condiviso e continuo sforzo collettivo.

Non si tratta della cosiddetta “mano invisibile” che guiderebbe l’economia verso le scelte migliori, né della teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attività produttive erroneamente attribuita ad Adam Smith ed incentrata sulla nozione di una predisposizione “quasi divina” secondo la quale il sistema economico, per chissà quale imperscrutabile meccanismo automatico, non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita dell'intervento di una volontà, singola o collettiva, al fine di determinare la migliore scelta attraverso un procedimento razionale.

Come in una evoluzione di tipo Darwiniano le scelte errate, perseguite da una moltitudine di persone, tenderebbero automaticamente  a soccombere, così come soccombono le evoluzioni di specie che sono meno confacenti alla affermazione della specie stessa nell’ambito di un sistema dato. La pianificazione di stato nell’economia, al contrario e come in qualsiasi altro campo della evoluzione,  rischiano invece di far danni in quanto frutto della sola opinione di quei pochi che, in virtù del potere che dispongono, possano determinare ed imporre le scelte di molti. Comunque sia: io la penso così e mi piacerebbe che il dibattito su questa mia tesi fosse ampio ed acceso.  “Cogito ergo sum”, ma anche “dubito ergo sum”. Dubito  prima di tutto di me stesso e poi del mio modo di pensare. Ciò non significa che io ne sia ragionevolmente convinto.  Credo che il dubbio sia l’origine della intelligenza.

Posso illudermi, forse, che questo mia riflessione sia diffusa, condivisa o avversata  in modo tale che il confronto sulla tesi sia il più ampio possibile? E’ difficile, molto difficile. Non mi rimane che sperare che i pochi amici che leggeranno questo ragionamento lo critichino o lo condividano. Ma soprattutto lo diffondano affinché possa essere valutato da quanta più gente possibile, con la conseguente  strapazzata che esso, probabilmente, si merita.

Alessandro Tantussi

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