La cantatrice calva
La cantatrice chauve è la prima opera teatrale di Eugene Ionesco del 1950. Definita dallo stesso autore “anti-commedia”, essa è uno dei primi esempi di teatro dell’assurdo. L’autore si ispirò ad un manuale di conversazione inglese accorgendosi della banalità delle frasi che vi erano contenute. I luoghi comuni sono i protagonisti della pièce. I personaggi sono calati in una dimensione metafisica e la messa in scena è perciò ridotta alla più semplice espressione.
Gli Smith e i Martin si ritrovano in un comune salotto, nei dintorni di Londra. Il tempo scorre come vuole, ha lo spirito di contraddizione. Avanti, indietro, in anticipo e in ritardo.
Lo spettatore si trova davanti a uno spettacolo fuori dagli schemi, dove non sembra esserci un filo da seguire, ma piuttosto un flusso di parole assurde e movimenti sconnessi dalla logica, dove il linguaggio è snaturato della sua funzione narrativa a favore di una sequenzialità apparentemente causale di azioni ed eventi calati in un contesto di nonsense.
È un mondo incredibile, dove si mangia minestra, yogurt, patate al lardo e insalata con anice stellato salvo poi sgridare gli ospiti del fatto di non aver mangiato nulla; dove i funerali si fanno quando le persone non sono ancora decedute e dove tutti i commessi viaggiatori si chiamano Bobby Watson.
Capita di essere marito e moglie, e di non riconoscersi neanche quando si è faccia a faccia. Succede che le cameriere si fingano detective con vasi da notte che raccontano di policandri che brillavano
nei boschi. Quando suona il campanello e si va ad aprire non c’è mai nessuno alla porta, ma solo per le prime tre volte. Alla quarta volta si trova qualcuno, ma non conta. I pompieri vanno nelle case in cerca di fuochi di paglia e bruciori di stomaco da spegnere e raccontano aneddoti di agnelli che mangiano briciole di vetro e di galli che si travestono da cani, senza successo. Inevitabilmente, poi, si entra in conflitto e il tutto non può far altro che degenerare nel delirio, finanche la parola stessa si sgretola in lettere che non vanno né di qua né di là.
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