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Erasmus: quando il diritto di voto diventa un lusso

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PisaToday

25mila. Gli universitari italiani all'estero con Erasmus, azione più nota del Lifelong Learning Programme, dispositivo di mobilità finanziato dall'Unione Europea. 25mila esclusi, fra i tanti studenti e lavoratori temporaneamente all'estero. Il governo, martedì, ha negato loro il diritto al voto per corrispondenza, sancito invece dal DL 223/2012 per appartenenti a forze armate o di polizia, dipendenti di enti locali o dello Stato, docenti, ricercatori temporaneamente all'estero. Per Palazzo Chigi è incostituzionale tutelare il voto degli Erasmus, che esclude quello di studenti non aderenti al programma. Assurdo, inconcepibile: pur di non concederlo ad alcuni, lo si nega a tutti. I corsi di studio delle università censiscono i periodi formativo o di stage degli studenti: basterebbe un raccordo con gli Atenei per garantire il voto. Il diritto agli studi, per Monti, fa diventare il diritto di voto un autentico lusso. È auspicabile che gli sconti annunciati da Alitalia garantiscano tali cittadini, che svolgono un autentico servizio verso la collettività: più essi crescono, più il Paese migliora. È stato positivo che esponenti nazionali progressisti e della sinistra abbiano fatto del mancato diritto di voto un tema dell'attualità. Per un attimo, anche Mario Monti. Ma che differenza fra noi, sinistra, e le destre moderate o conservatrici? La sinistra può e deve inserire la vicenda in un quadro più ampio, per superare gli slogan facili di ex bocconiani neoriformisti. Va tutelato il diritto di voto non dei partecipanti a un singolo dispositivo comunitario, ma di tutti coloro che spostano temporaneamente il proprio domicilio per lavoro o studio. In Italia e all'estero. La Sesta Indagine Eurostudent evidenzia che solo l'11% degli universitari italiani partecipa ai programmi di scambio internazionale. Oltre a loro, altri abbandonano le loro residenze per studiare in altre regioni: secondo il MIUR, nel 2006 erano 347mila. 20mila sul suolo pisano. Ben vengano rimborsi e sconti, talvolta però insufficienti per gli aerei, sottoposti alla competizione con le compagnie low-cost. Ma perché non ampliare il diritto alla cittadinanza reale, rompendo la corrispondenza fra residenza e diritto di voto per i casi in cui è comprovato il diverso domicilio? Perché non consentire ad uno studente temporaneamente in Europa, ordinariamente censito dalla propria università, di interessarsi alle candidature di tale circoscrizione o ad un fuorisede calabrese di votare alle elezioni comunali della città che lo accoglie per dieci mesi l'anno? La città che riceve i soldi del suo affitto e che deve garantirgli un reale diritto alla cittadinanza. Il diritto agli studi come crescita personale non può continuare a essere un depotenziamento dei diritti politici. La sinistra deve aprire una partita nuova.

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