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Profughi a Piaggerta, le associazioni: "La 'cospirazione del riso', tra bufale e minacce. Pisa non dà una accoglienza degna"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PisaToday

La protesta dei profughi ospitati a Piaggerta ha suscitato reazioni scomposte e ai limiti dell’isteria, che gettano un’ombra sulla professionalità degli enti chiamati a organizzare l’accoglienza.

Tutto il dibattito si è focalizzato sul «riso acquoso», o sulla presenza di «cervi e cinghiali» che spaventerebbero i migranti: così, questioni drammaticamente serie – la collocazione dei profughi sul territorio, le strategie di inserimento sociale, le modalità di accoglienza – si trasformano in farsa. E un dibattito complesso, che coinvolge tutta Europa, diventa una specie di commedia all’italiana, dove i profughi inscenano la parte di bambini bizzosi e ingrati.
Ciliegina sulla torta, le teorie complottiste: secondo l’assessore Capuzzi la protesta sarebbe manovrata da «alcune associazioni» (quali?), mentre per il presidente di Paim vi sarebbero «personaggi ambigui dietro le quinte». E l’idea di una cospirazione per il «riso troppo acquoso» si commenta da sola…

È davvero così difficile riportare il dibattito alle sue reali poste in gioco? Dell’opportunità di ospitare i profughi a Piaggerta si è discusso a lungo, e con argomentazioni ben più serie. La struttura, collocata nel cuore del Parco di S. Rossore, è certo un’oasi di tranquillità ideale per i turisti: non è però idonea ad ospitare migranti che devono inserirsi nel tessuto sociale, trovare opportunità lavorative e imparare la lingua.

E difatti gli standard del Ministero dell’Interno specificano che – citiamo testualmente dal Manuale Operativo SPRAR – «le strutture di
accoglienza devono essere collocate in luoghi abitati, facilmente raggiungibili dal trasporto pubblico». Non è difficile capire che le
proteste su «cervi e cinghiali» derivano dal senso di isolamento e di marginalità: sono dunque l’espressione di un disagio che andrebbe
ascoltato e compreso.

In questi anni gli enti locali, e in particolare il Comune di Pisa, hanno fatto di tutto per tenere i profughi a debita distanza dalla città: ricordiamo che i nostri territori sono stati citati, in una inchiesta de L’Espresso l’anno passato, come i meno disponibili all’accoglienza. Sono scelte che si pagano, queste: perché alimentare l’esclusione sociale comporta un prezzo, in termini sociali e anche economici.

La pantomima sui profughi «ingrati» impedisce di aprire un dibattito serio. E lascia emergere pulsioni autoritarie indegne di istituzioni
democratiche. Così, in queste ore abbiamo sentito dire dalla Prefettura che, in caso di altre proteste, sarà revocata l’accoglienza: e perché mai una pacifica manifestazione deve essere punita? Dove sta scritto che i profughi non hanno diritto ad esprimere pacificamente il loro pensiero?

È ora di riaprire in città una discussione vera sull’accoglienza e sull’inclusione dei migranti: un tema che ha dimensioni europee, e che
per questo merita di essere trattato in modo attento e meditato. Le malignità sul «riso troppo acquoso» non aiutano a capire, instaurano
un clima di ostilità e diffidenza, e non fanno onore alla professionalità di operatori e giornalisti locali.

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