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Venerdì, 26 Aprile 2024

Francesca Lombardi

Giornalista PisaToday

Covid, 1° aprile: a pieni polmoni respiriamo un po' di quella normalità dimenticata

Con il primo giorno del mese di aprile termina lo stato di emergenza, vengono abbandonati i colori delle regioni e il Covid, ancora ben presente, viene trattato con strumenti ordinari. 24 mesi fa l'inizio dell'incubo

Ci siamo. Il 1° aprile, con la fine dello stato di emergenza, segna un passo spedito verso la normalità dopo oltre due anni di Covid e una pandemia che comunque non è finita, le varianti sembrano essere sempre dietro l’angolo, ma, come ormai da mesi ripetono gli esperti, grazie ai vaccini può essere tenuta sotto controllo.
In sostanza inizia la fase, tanto agognata, di convivenza con il virus. Dal 1° aprile il Green Pass 'normale', quello che si ottiene con un tampone antigenico o molecolare negativo oppure dopo la guarigione, all'aperto non servirà più. Nessun controllo nei dehors di bar e ristoranti dunque. Il certificato servirà invece ancora sugli aerei, treni a lunga percorrenza, navi e pullman che si spostano da una regione all'altra. Accesso libero nel trasporto pubblico locale su tram, autobus e metropolitana, dove sarà necessario solo indossare la mascherina. La capienza degli stadi, ottima notizia per i tifosi, torna al 100%.
Decise novità anche per i contatti stretti di positivi al Covid, che non dovranno più mettersi in quarantena: senza fare distinzioni tra vaccinati e non vaccinati, il decreto del Governo prevede che per tutti scatti solo l'autosorveglianza, che consiste nel portare per 10 giorni la mascherina Ffp2 al chiuso e anche all'aperto in caso di assembramenti.
Per quanto riguarda l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori della sanità, compresi quelli delle Rsa, è prorogato fino al 31 dicembre. Per il personale della scuola, militari e forze dell'ordine, l'obbligo durerà invece fino al 15 giugno, ma potranno nel frattempo prestare servizio con il Green Pass semplice.

Tra le novità anche l’addio ai colori delle regioni divenuti lo ‘spauracchio’ del venerdì quando, in concomitanza con la riunione settimanale del Comitato tecnico scientifico, sulla base del numero dei casi e dei ricoveri ordinari e in terapia intensiva, veniva deciso in quale colore inserire i vari territori, con restrizioni più stringenti con l’avvicinamento al tanto temuto rosso, che per un certo periodo ha significato anche scuole chiuse.
Insomma un ritorno deciso ad una normalità che fino a due anni fa sembrava vicina e lontana nello stesso tempo. Perchè, diciamocelo chiaramente, 24 mesi fa eravamo in pieno lockdown, una nuova dimensione mai vissuta con strade deserte, aria respirata sui balconi e code interminabili fuori dai supermercati, ma pochi cittadini si aspettavano forse che la pandemia si trascinasse così a lungo: il pensiero comune era che “andrà tutto bene”, qualche settimana in casa e poi tutto sarebbe tornato come prima, e invece non è andata esattamente così e a distanza di due anni il bollettino con i nuovi casi, i ricoveri e i decessi, scandisce le nostre giornate come un leitmotiv di cui sembra ormai impossibile fare a meno. Un elenco di dati per tenere sott’occhio il Covid-19 e sulla base dei quali modificare magari i nostri comportamenti: mascherina ben indossata, evitare luoghi affollati, ‘fare il bagno’ nel gel igienizzante. Sì, perché inutile negarlo, sulla base dei dati giornalieri tutti noi siamo portati a seguire più o meno alla lettera quell’elenco di regole che ormai abbiamo imparato a memoria.

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L’inizio dell’incubo

Eppure facendo un salto indietro nel tempo, torniamo ad inizio 2020, quando tutto sembrava lontano, impossibile. Un virus cinese, all’altro capo del mondo, come poteva mai arrivare a noi? E invece tra febbraio e marzo, il Covid si è avvicinato sempre di più: il caso dell’informatico di Pescia lo ha fatto toccare con mano ai cittadini toscani, i primi provvedimenti di quarantena emessi dai sindaci della nostra Provincia ce lo hanno portato davanti alla porta di casa, poi arriva quel 9 marzo con l’annuncio dell’allora premier Giuseppe Conte e l’Italia che diventa un’unica grande zona rossa. Le scuole e i negozi chiudono (restano aperte solo determinate categorie di aziende), smart working da parola semi-sconosciuta diventa una parola sulla bocca di tutti, perché chi può deve lavorare da casa, evitando così ogni contatto. Già la casa, per molti solo un luogo ‘dormitorio’ nella routine affannosa di una quotidianità fatta da un impiego che ti porta fuori dalla mattina alla sera, diventa un punto fermo, un luogo sicuro in cui costruire la nuova ‘normalità’, scandita da lavoro (per chi può lavorare in modalità a distanza), dalle lezioni in dad (altra parola ormai divenuta di uso comune) dei figli, da scorpacciate di film e fiction, dalle passeggiate con il cane, dalle videochiamate con parenti e amici divenuti improvvisamente lontani, ma anche dalla paura di essere contagiati, di essere colpiti da un virus che ha portato migliaia di morti e ricoverati.

A maggio 2020, passati i ponti primaverili, l’Italia ha riaperto, sembrava essere calato il sipario sulla pandemia ma invece è stato un tira e molla, tra colori delle regioni, nuove chiusure, didattica a distanza e numeri dei casi che a fisarmonica aumentavano e diminuivano scandendo il ritmo tra un’ondata e un’altra. Poi a dicembre l’arrivo del vaccino che ha attenuato decisamente l’effetto del virus, ma non l’ha cancellato: il Covid è rimasto e rimarrà a ‘farci compagnia’ in una nuova normalità che parte il 1° aprile e che speriamo possa durare a lungo permettendoci con il tempo di togliere gli ultimi paletti (il 1° maggio sono attesi ulteriori allentamenti) per riconquistare la totale libertà che ormai ci appare come una chimera. Ogni volta infatti che la sfioriamo con la punta delle dita, con un balzo si riallontana e ci fa ripiombare nell’angoscia, nel ricordo di quell’andrà tutto bene che poi no, proprio tutto bene non è andato, ma forse, senza vaccini, poteva andare ancora peggio.

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