Ancora sullo Scalo Roncioni
Nell’analizzare uno stato, in questo caso quello di degrado ed abbandono, senza dubbio è il fattore continuità quello che più di altri riesce a quantificare il problema. L’evento sporadico di per sé ha poco significato, se non quello — semmai — di rappresentare un campanello di allarme. Quando invece questo si ripete con frequenza rilevante il quadro cambia e si può tranquillamente parlare di condizione permanente. Quella in cui versa lo Scalo Roncioni, uno dei pochi (e senza dubbio più importante) accesso alla riva dell’Arno è a dir poco drammatica. A venti giorni dalla prima segnalazione, quello che oramai è divenuto il più blasonato bagno pubblico della città si mostra in tutto il suo splendore. Nelle giornate di sole basta affacciarsi alla discesa per rendersi conto degli odori che il tepore del sole riesce a far emergere. Un misto di urina e feci da rabbrividire. Al di là del parapetto, il camminamento interno (che per un tratto dello scalo arriva a mezzo busto) viene utilizzato come comodo tavolo dove disporre tutti gli strumenti utili alle preparazioni più difficoltose: fazzoletti di carta, accendino, siringhe. Ogni cosa rigorosamente lasciata sul posto (accendino a parte che fa ancora comodo), che tanto a pulire ci penserà qualcun altro. Ma anche quella, la pulizia, sembra attività un po’ saltuaria, come testimoniato dalla permanenza di bottiglie e sacchetti nello stesso punto per numerosi giorni. Una sorta di zona franca dunque, dove espletare bisogni, somministrarsi stupefacenti e vivere felicemente attimi di quotidiana e meritata rilassatezza. Fischiettando.