Teatro Era, Michele Placido in 'La bottega del caffé'
Al Teatro Era di Pontedera, il 28 e 29 gennaio, Michele Placido è Don Marzio, protagonista de 'La bottega del caffe?' di Carlo Goldoni firmata dal regista Paolo Valerio. La produzione è Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart Production, Teatro della Toscana. Don Marzio è il nobile napoletano che osserva seduto al caffè il piccolo mondo di un campiello veneziano e con malizia ne intriga i destini. Lo attorniano figure tutte importanti, ognuna ambigua e interessante: una coralità in cui la pièce trova il fulcro del suo impeccabile meccanismo comico, che imprime ritmi vorticosi alle interazioni fra i personaggi.
'La bottega del caffè' è la più famosa delle “sedici commedie nuove” scritte nel 1750 da Carlo Goldoni. Nell’edizione firmata da Paolo Valerio,Michele Placido, carismatico protagonista del mondo dello spettacolo italiano, è l’interprete di Don Marzio, personaggio a cui Goldoni assicura una decisa e intrigante centralità. "Un chiacchierone maldicente, molto originale e comico – lo descrive nei suoi Mémoires – e? uno di quei flagelli dell’umanità che preoccupa tutti quanti, infastidisce i frequentatori abituali del caffe?». E a proposito del suo carattere aggiunge un aneddoto: «Quello del maldicente era applicabile a molte persone conosciute. Una di esse se la prese con me; fui minacciato, si parlava di spade, coltelli, pistole; ma, curiosi, forse, di vedere sedici commedie nuove in un anno, mi concessero il tempo di terminarle".
Michele Placido regala al personaggio di Don Marzio ambiguità e ironia, ed è attorniato da una compagnia d’interpreti che si muovono in scena con la forza di personaggi espressivi e ispirati: Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos. Un microcosmo, un affresco sociale e umano sottolineato dalla scenografia di Marta Crisolini Malatesta, i costumi di Stefano Nicolao, le luci di Gigi Saccomandi, le musiche di Antonio Di Pofi e i movimenti di scena curati da Monica Codena. Una commedia moderna e complessa, ricca di ironie e acutezze, che unisce una sapiente scrittura drammaturgica corale all'italiano settecentesco parlato.
Quando il sipario si alza, la luce del mattino accarezza le piccole abitazioni che si affacciano su un campiello veneziano, mentre i riflessi dell’acqua si rifrangono sul piccolo mondo che lo popola e che lo spettatore seguirà per una giornata intera, durante il carnevale. È stesso Goldoni a descriverci, sempre nei suoi Mémoires, il luogo della scena. "È una piazzetta nella citta? di Venezia. Di fronte vi sono tre botteghe: quella in mezzo e? un caffe?, quella a destra e? occupata da un parrucchiere e l’altra a sinistra da un biscazziere. Da una parte, vi e? fra due calli, una casetta, abitata da una ballerina, dall’altra una locanda".
Dunque, lo sfaccettato affresco sociale e umano ritratto da Goldoni è in costante movimento attorno alla bottega del titolo, gestita con oculatezza da Ridolfo con il suo aiutante Trappola. Sullo stesso campiello si affaccia, però, anche un luogo assai meno onorato: la casa da gioco di Pandolfo. La bisca calamita il giovane mercante Eugenio, vittima della dipendenza dal gioco: perde, s’indebita, impegna i gioielli della moglie. La giovane Vittoria, di buona famiglia e sentimenti sinceri, molto deve penare – sostenuta da Ridolfo – per tentare di riportarlo sulla retta via. Anche il conte Leandro ama il gioco e la fortuna gli sorride (o lo aiutano carte truccate?) e ha fortuna anche in amore, giacché la bella ballerina Lisaura si lascia da lui corteggiare, sperando di cambiar vita sposandolo. Ma una pellegrina – Placida – appena giunta a Venezia lo riconoscerà e l’aitante conte si rivelerà un marito fedifrago, nient’affatto nobile e presto pentito.
Di tutto questo rincorrersi e mentire, di questo tessere affari, di queste agnizioni, pentimenti e colpi di scena è osservatore privilegiato proprio Don Marzio: il nobile napoletano che seduto al caffè ascolta, rivela, distorce notizie e verità.
"Don Marzio guarda e spia, con un occhialetto che non corrisponde alle diottrie che gli mancano, e registra il tempo con un orologio che non funziona, offrendo in caricatura una posizione speculare a quella del pubblico che osserva – scrive Piermario Vescovo in Goldoni e il Teatro comico del Settecento – soccombendo a quanto la sua lingua pettegola ha incautamente spiattellato. A conclusione della commedia – continua – Don Marzio finisce con l’assumere il ruolo del bugiardo, avendo egli in realtà rivelato la verità attraverso un’osservazione deformata della realtà e attraverso la pratica di una maldicenza quasi ingenua". Diviene, dunque, un capro espiatorio, estromesso dalla società veneziana, che intanto, però, ha mostrato, assieme alle sue virtù, numerosi lati bui.
(foto in pagina Simone Di Luca)
Info
Teatro Era
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