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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Nuove scoperte sull'evoluzione dei cetacei predatori da uno scheletro fossile trovato a Rodi

La ricerca condotta dai paleontologi dell’Università di Pisa e del New York Institute of Technology ha fatto luce anche sull'origine dell'Orca, un altro superpredatore dei mari attuali

Quando è che i cetacei hanno cominciato a nutrirsi di altri mammiferi marini? Probabilmente in tempi molto recenti, almeno così sembra dal ritrovamento in Grecia di uno straordinario delfino fossile, simile e imparentato con l’attuale pseudorca (Pseudorca crassidens). Questo fossile è stato ritrovato insieme al suo ultimo pasto, rappresentato da resti di pesci. La conferma arriva anche dallo studio di un reperto scoperto in Toscana oltre un secolo fa, parente stretto dell’attuale orca (Orcinus orca).

La pseudorca e l’orca sono gli unici cetacei attuali che si nutrono di altri mammiferi marini. Le pseudorche catturano spesso altri delfini, mentre le orche predano non solo foche e piccoli cetacei ma anche balenottere lunghe più di 10 metri. Entrambi questi cetacei si nutrono di grosse prede che cacciano in branchi, sferrando potenti morsi per lacerare la carne delle loro vittime in maniera analoga agli squali.

Fino ad oggi, però, mancavano delle prove fossili che illustrassero l'origine di questo comportamento alimentare, sebbene le analisi genetiche indichino che esso si sia evoluto indipendentemente nelle due linee evolutive distinte dell'orca e della pseudorca. Un nuovo studio condotto dai paleontologi dell’Università di Pisa e del New York Institute of Technology permette ora di riscrivere la storia evolutiva di questi grandi predatori dei mari e i risultati ottenuti sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Current Biology.

La ricerca

Le ricerche sono state svolte su due fronti separati da oltre un secolo di storia: un nuovo straordinario reperto fossile da poco rinvenuto a Rodi (Grecia) e l’unico antenato della moderna orca, scoperto a Cetona (Toscana) nella seconda metà dell’800.

Il fossile di Rodi consiste di uno scheletro scoperto nel 2020 da Polychronis Stamatiadis, esperto di geologia e di paleontologia, nelle rocce argillose che affiorano nella baia di Pefkos sulla costa sudorientale dell’isola. Queste rocce derivano da sedimenti che si deposero sul fondale marino tra 1,5 e 1,3 milioni di anni fa. Il fossile rappresenta uno dei più completi scheletri di cetacei del Pleistocene mai rinvenuti fino ad ora.

"Appena ho ricevuto da Polychronis le foto di questo reperto - racconta Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e primo autore della pubblicazione - mi sono subito reso conto dell’importanza di questa scoperta, confermata poi dalla mia visita a Rodi dove, grazie all'ospitalità di Polychronis, ho avuto modo di studiare in dettaglio il reperto. Durante lo studio ho potuto constatare che si trattava di un delfino nuovo alla scienza, un cetaceo affine alla pseudorca ma con alcuni caratteri del globicefalo, che abbiamo chiamato Rododelphis stamatiadisi dedicandolo all’isola greca dove è stato ritrovato ed al suo scopritore".

Ma il prof. Bianucci e i suoi colleghi volevano capire anche di cosa e come si nutrisse questo nuovo delfino: era un feroce predatore che catturava anche altri cetacei come fanno oggi l’orca e la pseudorca o si alimentava in maniera più tranquilla in acque profonde aspirando per suzione polpi e calamari come il globicefalo? Lo studio del cranio e dei denti chiariscono solo in parte questi dubbi sulle abitudini alimentari di Rododelphis. 

"La soluzione di questo rompicapo - afferma Alberto Collareta, anche lui paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che ha preso parte allo studio - viene dall’eccezionale ritrovamento dei resti fossili dell’ultimo pasto del delfino di Rodi, rinvenuti intorno allo scheletro al momento dello scavo e della sua preparazione. Si tratta di otoliti, concrezioni di carbonato di calcio che si trovano nell’orecchio interno dei vertebrati. Gli otoliti sono spesso l’unica parte che si conserva allo stato fossile nei pesci. Quelli trovati associati a Rododelphis appartengono a Micromesistius poutassou, comunemente noto con il nome di melù, un pesce che vive tutt’oggi anche nel Mediterraneo tra 300 e 400 metri di profondità circa. Grazie all’esame di questi otoliti è stato anche possibile stimare intorno ai 30 cm la lunghezza dei pesci catturati dal delfino". Il Rododelphis si cibava quindi di pesci di media taglia e quindi che, forse, non era in grado di catturare altri delfini, come invece fa la pseudorca; ma anche che, diversamente dal globicefalo, non si nutriva di piccoli cefalopodi.

Sara Citron, con lo studio dell’usura e della microusura apicale dei denti di Orcinus citoniensis, ha confermato le osservazioni fatte sulla forma del cranio e sulla taglia: queste abrasioni, causate dall’attività di predazione, sono compatibili con un’alimentazione a base di pesce, in analogia con quanto osservato in alcune popolazioni attuali di orche.

Infine la ricerca ha messo in evidenza speciali affinità di Rododelphis e Orcinus citoniensis rispettivamente con Pseudorca e Orcinus orca. In pratica, questa analisi ha confermato che il delfino di Rodi e l’orca di Cetona rappresentano due stadi evolutivi simili ma distinti che hanno poi portato all’orca ed alla pseudorca attuali.

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